La band sarda, fresca di nuovo album, si racconta al nostro giornale.
Esistono da diversi anni, eppure la loro discografia racconta la storia di una band alla quale la frenesia non appartiene. Lavori mirati, che scandiscono la vita di questo progetto musicale in epoche e momenti ben precisi. Stiamo parlando degli Amesua, band sarda che ha appena consegnato al pubblico il nuovo album “Punto”. L’occasione è perfetta per approfondire il discorso e l’abbiamo fatto con un’interessante intervista in esclusiva per Onda Musicale.
Come avete affrontato la scrittura di “Punto”? Quali parti del vostro processo creativo sono state simili rispetto ai lavori precedenti? E quali invece sono state le modalità e gli approcci innovativi rispetto al passato?
M: Sul lato compositivo siamo molto old-school: arriviamo in sala, colleghiamo tutto e suoniamo. Per il disco non abbiamo programmato granché, avevamo solo chiaro il mood generale e l’idea di non esagerare con i pezzi per renderlo diretto e omogeneo. Improvvisiamo molto per scaldarci e da lì spesso riusciamo a prendere delle parti per ampliarle e capire se si può tirare fuori qualcosa di buono. Quando abbiamo una struttura vagamente convincente, entra in gioco Simone con la voce: definiamo tutto e mettiamo da parte. Tendiamo a non tornare spesso sui pezzi, forse per paura di entrare in un loop di insoddisfazione e finire per odiare il brano o allontanarci troppo dalle sensazioni iniziali.
Cosa significa essere una band underground in Sardegna? Ci sono possibilità per esprimere la propria creatività nel contesto isolano?
M: Significa vivere una realtà molto piccola, dove ci si conosce tutti, più o meno: questo permette di creare una rete di amicizie facilmente e organizzare spesso concerti. Gli spazi sono pochi, ma sono posti che combattono il nulla che avanza ogni giorno, offrono sempre un posto a tutti: il Devil Kiss a Olbia, che è la nostra seconda casa, Cueva Rock a Cagliari e altri. Alcuni chiudono, alcuni aprono, ma tutti resistono e cercano di partecipare agli eventi.
Credete che la realtà di regione-isola sarda abbia un impatto nel vostro modo di creare musica?
M: Molto probabilmente sì, più di quello che crediamo: facciamo parte di un popolo orgoglioso e tenace, per questioni geografiche siamo abituati agli ostacoli e a doverci impegnare per fare le cose bene.
Quali sono gli elementi che caratterizzano “Punto” a livello stilistico? Ci sono connotati artistici che rivendicate come marchi di fabbrica propri degli Amesua?
M: Abbiamo cercato di rendere il disco uniforme per dare un’identità ben definita ai brani. Marchi di fabbrica? Ammetto che l’unica cosa che spero emerga quando le persone ascoltando un nostro disco o ci sentono dal vivo è che siamo il più onesti possibili, che ci divertiamo a suonare e a farlo insieme.
Da dove deriva il nome Amesua? E come mai l’album si chiama “Punto”?
M: Amesua deriva da “a mente sua”, qualcuno che sta per i fatti suoi. Solo che suonava male e abbiamo tagliato via qualche lettera. Il nome è merito di Antonio, un amico con cui ho fatto le superiori. “Punto” è un confine, un segno netto che ci permettesse di capire dove siamo stati, dove siamo ora e dove saremo domani. Abbiamo iniziato a pensare al titolo dopo aver finito di scrivere i testi: ci sembravano tutti parte di un racconto. Così ci siamo detti: mettiamo il resto da parte, tracciamo un confine perché questo è ciò che siamo ora.
Che rapporto avete con social media, piattaforme digitali e la possibilità di promuovere musica e distribuirla in maniera diretta? Pensate sia una risorsa o un ostacolo?
M: Ci stiamo dedicando solo di recente ai social, non li abbiamo mai presi troppo sul serio se non per il lato promozione, ma anche lì non abbiamo mai studiato a tavolino un piano, cose così. Era più una cosa “hey, suoniamo qui con loro a tale ora” e preferivamo interagire ai concerti. Quando abbiamo finito il disco però ci siamo resi conto che sono strumenti incredibilmente importanti ed era il caso di prendercene cura: principalmente se ne occupa Alessandro, che oltre a suonare fortissimo ci fa da social media manager in pratica.
Ci sono dischi italiani che vi hanno colpito ultimamente? Ed esteri? Vi andrebbe di suggerire degli ascolti ai lettori?
M: Certo! “13 pezzi” dei Sangue su tutti. Turbo-hardcore diretto e senza le solite caricature del genere. Sono persone squisite, amici da sempre e dividiamo la saletta. Sono usciti anche i Blaze con il disco di esordio e promettono bene. Non recentissimi ma che sto riascoltando in questi giorni: Dags! e Delta Sleep, che tirano fuori sempre dischi clamorosi.
Che programmi avete per i prossimi mesi? Riuscirete a portare “Punto” dal vivo in alcuni concerti?
M. Abbiamo presentato l’album il giorno dopo la release al Devil Kiss di Olbia, come dicevamo la nostra seconda casa. Ora siamo al lavoro per organizzare un piccolo tour, magari di 3/4 date per questo autunno, naturalmente fuori dalla Sardegna. Infatti, vorremo cogliere l’occasione per chiedere ai promoter che leggono e a cui piace la nostra musica, di contattarci se interessati!