Mario Lavezzi, cinquant’anni di “energia creativa”: il grande music maker italiano ci ha presentato Campus Band, il suo progetto-giovani, un aiuto concreto per promuovere nuove generazioni di musicisti
Incontrare Mario Lavezzi significa ascoltare la narrazione di mezzo secolo di Storia della musica italiana da chi quella Storia ha contribuito a scriverla. Sogni, ideali, tormenti, ribellioni, rivoluzioni, esperimenti, rappresentano quel condensato di “energia creativa” che anima la mente e il cuore di ogni giovane artista, qualsiasi sia il campo di applicazione del suo talento. La prima impressione su Mario Lavezzi? Un artista che ha conservato intatta la sua energia creativa. Ci ha raccontato del progetto Campus Band e – a dire il vero – pensavamo di intervistarlo principalmente su questo tema. Ha invece aperto il rubinetto dei ricordi e lo ha fatto con grande generosità. Non abbiamo mai osato interromperlo. Questa la sua intervista per i lettori di Onda Musicale
Come nasce il suo progetto Campus Band?
Il progetto è la sommatoria delle esperienze, delle speranze, delle paure, delle soddisfazioni, degli errori che attraversato in tutta la mia carriera, soprattutto quando ero ragazzo e avevo fondato con alcuni miei amici studenti, del quartiere dove vivevo, il mio primo gruppo. Motivo per cui ho proposto a SIAE di sostenere un contest dedicato agli studenti appassionati di musica.

Vuol raccontarci qualcosa della sua gioventù?
Ho imparato a suonare la chitarra classica da bambino e lo facevo piuttosto bene. I miei genitori non pensavano affatto che sarei diventato un musicista, mio padre mi sognava avvocato. Arrivò la stagione del beat e dei “capelloni”, prima i Trappers e poi i Camaleonti.

Aveva una ventina d’anni signor Lavezzi?
Sì, e come tutti i miei coetanei, dovevo anche andare a fare il servizio militare.
Molti dei nostri lettori non hanno fatto e non faranno mai il servizio militare. Può raccontarci la sua esperienza? Che impatto ha avuto sulla sua carriera artistica?
Inizialmente mi sentii distrutto, senza più futuro. Mi dissi: “e adesso cosa faccio?” ed invece quel tormento stimolò la mia creatività. Avevo appena scritto “Il primo giorno di primavera” per i Dik Dik. In origine il titolo della canzone era “Giovedì 19” e la prima strofa faceva “E’ giovedì 19, ma per me, è solo il giorno che ho perso te”. La facemmo ascoltare a Mogol, il produttore dei Dik Dik insieme a Lucio Battisti, che esclamò: “Eh! Ma io ho appena scritto 29 settembre! Che facciamo, tutto il calendario?” e modificò la strofa in “È il primo giorno di primavera ma per me è solo il giorno che ho perso te”. La canzone assunse immediatamente un altro significato. Mogol cambiò la strofa quasi completamente e io ebbi il privilegio di “vivere” Battisti e di averlo come produttore. Per esempio, per la mia versione, non avevo previsto un cambio di tono né una modulazione, mentre lui l’ha fatta.
Cosa le disse suo padre di questo suo primo grande successo?
Quando iniziai a suonare mio padre iniziò a preoccuparsi. Quando mi vide sulle pagine di Ciao Amici [la rivista musicale più popolare tra i giovani degli anni ’60 – n.d.a] si rassegnò definitivamente. Tuttavia, il giorno in cui mi arrivò la cartolina [l’Esercito faceva pervenire attraverso le mani di un postino la lettera di convocazione – n.d.a] si preoccupò per la ragione opposta: “Se questo qua ha scritto il primo giorno di primavera, vuol dire che ha veramente del talento”.

Ci racconti qualcosa del Lavezzi in grigioverde...
Ero un “raccomandato”, non lo nascondo: essendo un membro dei Camaleonti, godevo di alcune facilitazioni e di piccoli privilegi: feci il Car [Centro Addestramento Reclute – n.d.a] prima a Messina e poi a Ragusa, poi all’Ospedale Militare di Milano. Vi racconto un aneddoto: sono scappato dall’ospedale per andare a vedere Jimi Hendrix al Piper di Milano. Non potevo perderlo per nessuna ragione, anche a costo di essere arrestato.

Come riuscì a cavarsela?
Tra commilitoni ci davamo sempre manforte. Quella sera alle 23, durante il contrappello, quando il preposto chiamò il mio nome – LAVEZZI? – qualcuno urlò al mio posto: PRESENTE! Poi venni trasferito ad una destinazione ancora più comoda, il Distretto Militare di Milano.
Quando e dove scriveva le sue canzoni? In branda?
Ero l’autista del maresciallo della fureria, avevo tantissimi pomeriggi liberi. Uno di questi pomeriggi presi la chitarra in mano, ed ispirato dalla musica dei Procol Harum, scrissi una canzone che aveva una parte strumentale e una parte cantata: Il primo giorno di primavera!
Ci racconta qualcosa del periodo del “Il Volo” e della vostra partecipazione al Festival del Pop a Roma Villa Pamphili? Lei ha partecipato con Il Volo all’edizione del 1974. Che ricordo ha di quel momento?
Come ho raccontato nel mio libro autobiografico “E la vita bussò”, nella mia vita ho attraversato le varie epoche, dal beat ai figli dei fiori, fino all’impegno politico. Con Il Volo, attraversai quello dell’impegno politico. Il Progressive, che ci aveva stravolto tutti, pensi alla PFM! Era un momento storico particolare, molto politicizzato, perfino Gianni Morandi aveva dovuto mettersi a studiare il violoncello perché non se lo filava più nessuno [dice proprio così – n.d.a]. C’era un grande impegno politico, che però andava sbandierato; dovevi andare sul palco e mostrare il pugno chiuso, cosa che noi non abbiamo mai fatto, ci siamo sempre rifiutati.

Oggi il Progressive è nuovamente molto popolare tra le nuove generazioni e va molto di moda. Ha mai pensato, magari insieme ad Alberto Radius, di far ristampare i vinili de Il Volo?
Guardi, ci abbiamo pensato. Qualche anno fa aveva preso in mano il progetto Paolo Maiorino [già responsabile del catalogo Sony Music Italia – n.d.a] poi la cosa non ha avuto seguito ed è stato un peccato. A quei tempi, negli studi di registrazione, suonavo la chitarra, insieme a Battisti. Ricordo una volta c’era un punto in cui dovevo fare un particolare passaggio di chitarra. Era per il brano Confusione “se tu credi che il carbone bruci meglio”: io suonavo la chitarra, si andava a singola prestazione, non esistevano i BPM [battiti per minuto, l’unità di misura di frequenza in musica, n.d.a] e i moderni metronomi. Lucio suonava le percussioni e mi chiedeva continuamente di rifare il passaggio di chitarra. Ad un certo punto gli dissi: Lucio, hai esattamente in mente di come vorresti il passaggio di chitarre? Perché non la suoni tu stesso? Così invertimmo gli strumenti e, se andate a controllare sui crediti, troverete scritto Battisti alla chitarra e Lavezzi alle percussioni! A quei tempi, con una creatività senza eguali, si faceva spesso così! Ai tempi de Il Volo, preparavamo i pezzi io e Alberto Radius ma tutti in studio davano un contributo fondamentale, dal tastierista al batterista, al bassista, ciascuno – sulla base della sua provenienza musicale, sapeva trasmettere una sensazione particolare ed aveva un proprio ruolo. Per questo, ogni volta che faccio un provino, un casting, sono immediatamente in grado di riconoscere quell’elettricità, quel “tormento” che anima un potenziale artista.
Arriviamo al suo progetto Campus Band? Quale consiglio potrebbe dare ad un giovane artista?
Se andate sul sito di Campus Band trovate tanti consigli: originalità e fantasia sono elementi fondamentali! Poi suggerirei di essere sempre se stessi, di saper trasmettere il proprio tormento interno e – soprattutto, di non omologarsi mai alla musica che gira intorno, come direbbe Fossati! Oggi sentiamo una musica che è tutta uguale, facciamo fatica a distinguere una canzone da un’altra. Ad esempio, l’ultima canzone di Mahmood e Blanco a me – sinceramente – è piaciuta molto, perché a parte le belle armonizzazioni dei due bravi cantanti, era un pezzo veramente originale ed aveva anche una buona scrittura.
Signor Lavezzi, come autore, lei prima abbozza un testo e dopo pensa alla musica, o viceversa?
No, sempre viceversa. Ad esempio, ho musicato tre canzoni. Una era Indocina, per Loredana Bertè. Mi passò il testo Oscar Avogadro e io l’ho musicato. Pensi che in tutto l’album che ho fatto con Loredana [Normale o Super – n.d.a] a parte Alberto Radius, ha suonato interamente tutto Il Volo. Oppure, come ho scritto anche mio libro, ho inciso Canti di Sirene, musicando un testo scritto interamente da Franco Califano. Ci siamo trovati con il Califfo in una trasmissione televisiva, e lui: “Ah Fra’, mo’ che ce penso, io e te non avemo mai fatto ‘na cosa insieme” [affettuosamente, Lavezzi descrive l’episodio emulando l’accento romanesco del grande artista scomparso nel 2013 – n.d.a]. “Franco, quando vuoi!” Mi diede un testo; l’aveva intitolato “Le mie donne”. Era una scrittura poetica. Lui aveva una passione autentica per le donne, come io l’avevo – sotto il profilo più professionale ed artistico – per le cantanti che avevo prodotto. Avevo pronta nel cassetto una musica che già sentivo, nel mio profondo, si sarebbe adattata molto bene al suo testo.
Tornando al Campus band, tra i nostri lettori ci sarà probabilmente qualche giovane che non ha mai sentito parlare del suo progetto. Vuol dire qualcosa in modo diretto a questi ragazzi?
Quello che ho appena detto, di essere originale, di non scimmiottare. Di avere il coraggio. Se guardiamo gli artisti, andando indietro nel tempo, la musica Progressive è stato un episodio di rivoluzione: Peter Gabriel, Procol Harum, Jethro Tull, Emerson Lake &. Palmer.. erano un qualcosa che cambiava, tutto. Prendiamo anche Mogol e Battisti, erano campioni di fantasia. Possiamo paragonare il tempo di morire a i giardini di marzo? No, erano due cose completamente diverse. Così come i grandi Beatles,sempre originali, con canzoni completamente diverse che avevano il coraggio di inserire anche nello stesso album. Serve la voglia di cambiare, di essere sempre originali e diversi nel corso di una carriera. Oggi sentiamo dischi di alcuni artisti – non facciamo nomi – che suonano tutti alla stessa maniera.
Parliamo di E la vita bussò, il suo cofanetto
È un lavoro che ho dedicato al mio pubblico, dove tutto il materiale è stato rimasterizzato dall’originale e perfettamente ordinato per essere presentato ed ascoltato in ordine cronologico. C’è anche un album, un libretto in cui rivelo aneddoti, storie, spiego il significato di ogni singola canzone. Perché un brano venne scritto proprio in quel modo. Per esempio, prendiamo Indocina. Indocina non fu certo un successo, ma fu il disco che cambiò radicalmente il destino artistico di Loredana Berte. Prima, come primo lavoro, Loredana aveva inciso Streaking.

Un album che non conteneva poi un granché ma sulla copertina lei appariva nuda. Le dissi: “Loredana, per piacere, ma che vuoi fare come la Cassini [Nadia Cassini, un’attrice del genere commedia sexy all’italiana in voga tra gli anni Settanta e Ottanta – n.d.a.], un bel fondoschiena e tutto qui? Per essere una cantante credibile devi cambiare registro”. E allora abbiamo fatto Indocina, che le ha permesso, successivamente, di poter interpretare “Dedicato” in maniera credibile. In copertina era ritratta con un largo cappotto bianco che le andava fino ai piedi, davanti al vagone della metropolitana di Milano: una posa diametralmente opposta rispetto a quanto mostrato in precedenza con Streaking.

Pensi che per eseguire Indocina in concerto dal vivo, un regista aveva avuto l’idea di farle indossare una sorta di tunica che, aprendosi, diventava un lenzuolo; il lenzuolo fungeva da schermo, sul quale venivano proiettate le immagini della guerra nel Vietnam. La gente, il pubblico, immaginando che si sarebbe denudata durante la performance, le urlava “nuda-nuda”. Fino ad incazzarsi, sul finire del concerto, perché Loredana aveva cantato e basta.
È un racconto forte, signor Lavezzi. Possiamo riportarlo nell’articolo?
Certo, è stato un percorso di crescita, è servito, è stato shoccante ma doveva essere così, per dimostrare “qui si cambia, ragazzi!”

Insomma, il suo cofanetto è un viaggio nella musica italiana degli ultimi trent’anni
Sì, perché abbiamo solo rimasterizzato, abbiamo ripulito il suono ma non abbiamo cambiato nulla! È intatto!
Perché Campusband/Musica&Matematica e non Musica&Filosofia. Forse preferisce le materie scientifico-matematiche a quelle umanistiche?
Vede, mio padre mi suggerì di prendere un diploma da ragioniere, da qui la scelta su Matematica. Ma anche perché già Pitagora aveva scoperto la connessione che esiste tra la musica e la matematica.
Ha raccontato veramente tanto ai lettori di Onda Musicale, vuole aggiungere qualcosa per quelli più giovani? Gli parli direttamente!
Come potrete leggere visitando il sito Campus Band (https://www.campusband.it/), il premio in palio, grazie al contributo messo a disposizione di SIAE, sarà in primis il poter frequentare grandi scuole musicali come quella di Mogol (CET) e quella di Franco Mussida (CPM). Poi daremo l’opportunità di pubblicare il primo singolo ed anche il video di lancio. In questo mondo impalpabile e liquido, il singolo che verrà pubblicato sarà dotato di uno strumento modernissimo, denominato NFT: un certificato di esclusiva sulla proprietà intellettuale… qui siamo avanti, siamo sul futuribile! Mettiti in gioco e iscriviti!
Ringraziamo Mario Lavezzi per il suo tempo e per il suo racconto. Per la sua grande energia creativa. Speriamo tra i nostri lettori ci siano anche aspiranti artisti: possa il loro talento incontrare l’occasione del Campus Band 2022.