Dai palchi dorati della Scala a quelli infuocati del Rock. Da Sanremo all’Arena di Verona. Sono presenti in tutti i concerti. Prime e seconde linee alle spalle delle grandi popstar. Siamo andati a conoscerli. Come si vive dentro l’orchestra di una stella del Pop.
Abbiamo incontro Doriano Roccon, il primo contrabbasso degli 070, l’orchestra che ha accompagnato Renato Zero nell’ultima trionfale sei giorni romana.
L’appuntamento è per le 19 a San Paolo entro le Mura, una delle chiese anglicane di Roma. Al suo interno, il martedì va in scena La Traviata; Doriano suona il suo contrabbasso nell’orchestra che esegue l’opera di Giuseppe Verdi. Ci ha dato appuntamento proprio lì.
Presentati Doriano!
Doriano Roccon, nato a Roma il 30 luglio ‘68, un Sorcino di cinquantaquattro anni con una passione sconfinata per la musica. L’ho sempre amata, soprattutto nell’ultimo periodo. La musica mi ha dato una ragione per vivere, proprio come diceva Renato, in apertura dei suoi concerti.
Ovviamente Doriano allude a Renato Zero. Tra tutti gli artisti, italiani ed internazionali, per i quali ha suonato, Renato Zero è quello che maggiormente gli ha cambiato la vita.
Una pandemia che ha avuto una sorta di Alfa e Omega che, per me, hanno coinciso con Renato. Lui avrebbe voluto festeggiare il 70° compleanno nel 2020 e io avrei voluto svolgere serenamente il mio lavoro; abbiamo tutti dovuto rinunciare a qualcosa, chi più, chi meno. Durante questi due anni da incubo, ho approfittato della pausa forzata per studiare e migliorarmi. Una mattina mi arriva un messaggio. È di un mio amico, Emiliano Facchinetti, fondatore dell’Orchestra filarmonica della Franciacorta. Mi contatta su WhatsApp, mi dice “guarda c’è da fare Renato”. Io lì per lì penso ad uno scherzo, invece no, stava pensando proprio a me. Mi chiede di trovargli altri tre contrabbassi per formare una fila di quattro bassi. È stato un momento così bello, diciamo un ritorno alla vita e un coinvolgimento emotivo notevolissimo. Questo accadeva alla fine di ottobre 2021. Un grande onore lavorare nell’orchestra della Franciacorta. Perché – prosegue Doriano – Renato Zero li aveva scritturati già due anni prima. Il super-concerto che Renato aveva pensato per sé stesso, per auto celebrarsi, per regalarsi un genetliaco memorabile. Uno 070, come accadde per il sessantesimo nel 2010. Ero presente anche a Piazza di Siena! Insomma, per me che sono sì un musicista ma prima ancora un Sorcino della primissima ora, festeggiare ogni dieci anni il compleanno di Renato, trovo sia un’esperienza difficile da descrivere.
Perché, secondo te, questo Zero-settanta ha fatto così tanto parlare di sé?
Sai, in molti dicono che è stato strutturato come uno show televisivo, ma di fatto, dovendo rendere omaggio a tutta la produzione di Renato Zero dagli esordi fino ad oggi, è diventata una maratona musicale adatta alla realizzazione di due serate televisive e forse qualcosa di più. Hanno partecipato moltissimi artisti, quasi tutti quelli che hanno collaborato o che sono stati vicino a Renato, sia nell’ultimo periodo che in tutto l’arco della sua carriera. Certo, alcune persone mancavano. Il repertorio zeriano è stato suonato tutto. Possiamo fare anche i nomi delle canzoni, è molto più facile nominare i pezzi che non sono stati suonati. Sesso o Esse, Chi sei, Nell’archivio della mia coscienza. Cose che da ragazzino mi mettevano i brividi. È stato abbracciato un arco di tempo molto esteso. Ora che ci penso, non era presente Sergente no! Strano che Renato non abbia assecondato la sua vocazione antimilitarista! Lo osservavamo, nascosti dietro i nostri strumenti: ha messo in evidenza una straordinaria tenuta fisica, ha ballato, ha cantato, non credo sia facile per nessuno arrivare così in forma a settantadue anni.
Torniamo all’orchestra di Franciacorta, quando tutto è cominciato
Iniziamo le prove a settembre. Orchestra, vocalist e band iniziano a provare separatamente. Per allestire uno show del genere bisogna preparare varie porzioni, l’orchestra deve provare a fondo le singole parti musicali. Eravamo a Roma, all’Auditorium della Conciliazione. Provavamo nella Sala Petrassi, eravamo in cinquantasette, mentre al piano di sotto provava il coro. Poi ha provato la band di Renato Zero. Una super band con Danilo Madonia, Bruno Giordana, quest’ultimo alle tastiere e al sax. C’era il grandissimo Lele Melotti alla batteria e l’altrettanto grande Lorenzo Poli, che sostituiva Paolo Costa in tournée con Eros Ramazzotti. Poi i chitarristi: Cocilovo, l’intramontabile e onnipresente Giorgio Cocilovo; lo vediamo spesso a Sanremo.
E Fabrizio “Bicio” Leo, un altro chitarrista simpaticissimo, un mio amico. E, dulcis in fundo, uno potrebbe anche dire in cauda venenum – ma, in questo caso – dulcis in fundo, il grandissimo Rosario Jermano, l’anima e l’essenza delle prime produzioni di Pino Daniele. È stato un piacere stare a parlare con queste persone, scambiare esperienze, partecipare i loro racconti. Dunque, dicevamo, si provava separati, per non meno di otto ore.
Otto ore?
Sì, bello pesante, “non ce la regalavano”. Abbiamo provato e provato, al limite della resistenza fisica. Era necessario. E poi era una cosa che personalmente facevo con gioia, come penso tutti gli altri musicisti. Perché eravamo lì, in quel momento, e lo stavamo facendo per Renato.
Che effetto fa trovarsi da musicista, in un ambiente come quello di una sala sinfonica, “generare” la musica che si ascoltava dai ragazzi allo stereo di casa?
Potrei fare un paragone con la mia esperienza durante il servizio militare, ho fatto il paracadutista e mi sono lanciato dagli aerei più volte. Volando col paracadute provavo una sensazione simile a questa che mi stai chiedendo di descrivere. Quel che vorrei dire è che parlo da Sorcino e parlo direttamente ai Sorcini che ci leggeranno”
Racconta ai nostri lettori (e ai Sorcini) le tue emozioni…
È stata un’emozione continua. Per dirtene una, durante i concerti, nell’eseguire Morire qui, io ballavo, cantavo mentre suonavo, tanto alle prove quanto durante gli spettacoli. La coreografia “vista da dietro” era stupefacente: studiata per impreziosire uno show già prezioso di suo, non avrebbe avuto bisogno di niente di più. È stato uno spettacolo perfetto in cui, checché ne dicano i detrattori, ogni particolare è stato progettato nel minimo dettaglio. È stato bellissimo, non si poteva aggiungere niente di più.
Torniamo alle vostre prove d’orchestra …
Ai primi di ottobre terminiamo le prove a comparti separati. L’11 ottobre partiamo tutti quanti per Mantova. L’orchestra ha sede al nord, e trasferirsi a Mantova facilitava le cose sotto l’aspetto logistico. Ci prepariamo sul palco della Grana Padano Arena. Cominciamo a lavorare il giorno seguente. È un momento fondamentale, è la prova d’insieme di come lo show di Roma effettivamente verrà svolto. C’è naturalmente anche Renato. E che cosa ci fa fare Renato, prima ancora di metterci a suonare? Ci invita a scendere dal palco, a metterci di fronte al palco stesso per osservare l’inizio del concerto dal punto di osservazione degli spettatori. Uno spettacolo di luci e di musica in diffusione, ascoltando quella voce fuori campo che introduce Quel bellissimo niente.
All’inizio di ogni concerto, durante gli show di Roma, era un momento che ci toccava il cuore. Almeno a me. Sì, perché per me e a tanti altri (Sorcini, N.d.A.) è stato difficilissimo. Dico la verità, soprattutto per i musicisti-sorcini, ma anche per i non sorcini credetemi, ogni inizio spettacolo generava un grande coinvolgimento emotivo. Ascoltare le sue parole leggendole (il testo scorreva sullo sfondo) ed il fatto che descriveva un musicista agli esordi alla ricerca di un ruolo nel mondo, incerto sulla via da percorrere, era un invito all’immedesimazione. Era come se parlasse per tutti noi e a noi direttamente, raccontando la lunga strada dagli esordi, vissuta da un ragazzo più desideroso che talentuoso.
Cosa vuoi dire?
Che il talento si costruisce col tempo. Cito sempre Renato e Quel bellissimo niente: quando afferma che il talento, in fondo, significa saper vivere. Renato canta le sue esperienze musicali ma anche le sue esperienze di vita e il fatto di sentirle e di poterle condividere con la persona con la quale condividiamo il palco è sinceramente emozionante. A Mantova è sempre stato presente, anche quando si trattava solo di supervisionare quello che stavamo facendo. Era presente con la sua strabiliante conoscenza musicale.
Che idea ti sei potuto fare a lui?
Ha una immensa conoscenza della musica. Credimi, è un’enciclopedia vivente. Renato si è sempre avvalso di collaboratori eccelsi, come appunto i musicisti che ho citato prima. Era abituato bene, avendo lavorato in RCA con Ruggero Cini, ed ha saputo scegliere nuovi creatori di musica insieme a lui. Come Piero Pintucci, un altro degli assenti di lusso.
Ti riferisci agli ospiti che forse avrebbero dovuto esserci?
Stefano Senesi e Loredana Bertè non sono mai venuti in qualità di super ospiti. Non ne conosco il motivo, ma a pensarci, la loro assenza è figlia di una certa logica. Penso che abbia voluto chiudere un cerchio. Comunque, stavamo parlando delle prove d’insieme. Abbiamo provato lo show esattamente come l’ha visto lo spettatore; abbiamo provato anche tutte le singole parti delle canzoni che venivano inserite man mano nella scaletta delle varie date. La scaletta cambiava ogni sera. A parte le canzoni “irrinunciabili” come Amico, I migliori anni della nostra vita, Spiagge, tanto per farti un esempio, ci siamo preparati per eseguire alla perfezione ogni canzone della sua discografia. Abbiamo lavorato in modo certosino soprattutto per i duetti con gli artisti invitati al suo concerto di compleanno.
Quali istruzioni vi dava in merito all’esecuzione di un pezzo?
Sapeva benissimo che cosa dire e cosa fare. Aveva una padronanza totale del palco e si accorgeva anche di cosa accadeva dietro le quinte mentre stava lì sul palco. È un animale del palcoscenico. Sembrava avesse un occhio dietro la testa come gli animali preistorici. Dandoci le spalle, ci guidava con istruzioni precise: suggerimenti, semplici posizioni da assumere durante i concerti: “Ragazzi, dovete scendere dal palco e venire tutti qua”. Il primo giorno a Mantova: “Forza, forza, stringetevi!” Era l’esortazione a farci notare dal pubblico prima dell’inizio dello spettacolo. Gli piace guidare: ci dava più che altro dei consigli e sull’entrata dell’orchestra sul palco era un perfezionista. Ti racconto un aneddoto risalente allo zero-sessanta di dieci anni fa. Quando studiavamo l’entrata da dietro le quinte, due file dovevano uscire di fronte alla folla in modo simmetrico. Una volta tutti sul palco, da sotto al palco diceva: “Forza ragazzi, dai, sorridete, immaginate che avete fatto Sei al Superenalotto!” Non è affatto semplice coordinare cinquantasette elementi, il direttore d’orchestra, dieci coristi e la sua band. Quanti eravamo? Facciamo il conto: batteria, percussioni, basso, due tastiere e due chitarre, cinquantasette elementi dell’orchestra. Si arriva a settantacinque persone cui vanno aggiunte i ballerini, che erano venti, e siamo a novantacinque. Quando ballava l’intero corpo di ballo c’erano circa cento persone sul palcoscenico. Uno show articolato e complesso.
Eravate tantissimi. In quale albergo alloggiavate?
Eravamo sparsi in vari alberghi. No, non ricordo come si chiamasse il mio, ma devo dire che sono stato bene.
Quanto siete rimasti a Mantova?
Il dodici, tredici e quattordici settembre. Il quattordici abbiamo concluso la prova generale. Siamo ritornati ognuno alle nostre case e da quel giorno ci siamo visti soltanto il ventidue settembre per un, diciamo, consolidamento dello spettacolo direttamente sul posto. Posso dirti che al Circo Massimo, dal ventidue in poi, abbiamo praticamente vissuto lì. A casa? Ci sono andato solo per dormire.
Una volta tornato a Roma dove ti preparavi?
Studio sempre a casa mia. Lo studio delle parti di Renato Zero, per quanto mi riguarda, constava più che altro nello stabilire le arcate e poi le canzoni. Perché queste le conosco a memoria.
Ti veniva la tentazione di non seguire lo spartito?
Assolutamente sì, ed è un’arma a doppio taglio. Perché noi contrabbassisti abbiamo molte battute di attesa. Per il contrabbasso, ad esempio, l’attesa nell’entrare quando la canzone è partita, unita al fatto di conoscere molto bene il pezzo, ti porta magari a un po’ di leggerezza.
E arriva il gran giorno, il primo concerto. Come raggiungevi il Circo Massimo?
Arrivare in quella parte di Roma non è troppo complicato. Arrivavo in anticipo rispetto alle due ore e mezza prima della convocazione.
Avevate un parcheggio riservato?
Questo lo vorrei dire. Non avevamo vantaggi di alcun tipo e lo sapevamo fin dal principio. Dovevamo “rimediarci” il parcheggio ogni pomeriggio. Lo sapevamo, nel contratto era riportato. Tutto ciò che riguardava l’aspetto logistico era scritto nel contratto in modo dettagliato. Personalmente, preferivo muovermi da casa tre ore prima. Andavo a parcheggiare l’auto a Caracalla (zona archeologica distante circa 1 km dal Circo Massimo, N.d.A.) dove fortunatamente non si pagava! Ogni sera, me la facevo a piedi, fino a via dei Cerchi!
Un contrabbasso non è piccolo come un violino. Come te lo portavi?
Lo strumento me lo portavo sempre appresso. Guarda, avevamo a disposizione camerini da chiudere a chiave, però noi musicisti abbiamo la responsabilità dei nostri strumenti.
Vuoi descriverci il tuo contrabbasso?
È un signor strumento, opera di liuteria artigianale costruito da Luigi Ottaviani qui a Roma, in via Cernaia. È stato costruito nel 1984. Forse avrebbe bisogno di una piccola manutenzione. Suonare sia in contesti pop-rock che lirico-sinfonici come quello della Traviata, richiede una cura per lo strumento assidua. Adoro questi ambienti. Mi ricordo, fin da quando ero un pischello (un ragazzino, in dialetto romanesco, N.d.A.) ma anche adesso, adoravo andare a vedere i concerti rock. Andavo ore prima, mi piaceva respirare l’ambiente, all’ultimo momento mi sedevo, gustandomi la gente che riempieva i palchi. Arrivare là, con la luce del sole e piano piano veder arrivare l’imbrunire, poi la sera, i primi accordi, poi il concerto che inizia, un sogno.
Come vi organizzavate per consentire ai fan di vivere questo sogno?
Arrivavamo alle 15:30 al Circo Massimo, iniziavamo a fare le prove con un pezzo da inserire in scaletta ex novo. Oppure, verso le 16, arrivavano gli artisti ospiti e cominciavamo a provare con loro. Abbiamo lavorato con Baglioni, J Ax, Britti, Giovanotti, Red Canzian, abbiamo avuto Beppe Barra, l’artista il quale, secondo il mio punto di vista, ha segnato il momento più alto di tutte le serate.
Ha cantato La tua idea, recitandola alla napoletana. Molti di noi avevano gli occhi lucidi, mamma mia! Recitare con quell’intensità e con quella credibilità un testo come La tua idea, che parla di vita vissuta! Recitarlo in quel modo è stato uno dei momenti più alti. Credo che non soltanto i pezzi storici, ma anche le canzoni più recenti siano di una qualità incredibile, che abbiano una grande intensità, perché riescono a toccare le corde del cuore, al punto che noi “musicisti Sorcini” dovevamo realmente sforzarci di non commuoverci per mantenere quel sano distacco una volta sul palco. Questo accadeva sistematicamente tutte le sere quando iniziava il concerto con Quel bellissimo niente. Sono un musicista di oltre cinquant’anni che sente quelle parole. Non sei una statua, è impossibile, soprattutto se fai il mestiere del musicista.
Tornerei a parlare della qualcosa di più operativo: la vestizione!
Eh, la vestizione! La memoria corre allo zero sessanta: nel 2010 avevamo una tutina aderente nera, con delle righe bianche ai lati e un cappello simil-militare, con tanto di mostrine, una gran figata! Devo dire che quest’anno, la produzione ha voluto giocare in maniera diversa, una maglietta celebrativa, nera e a maniche lunghe, la scritta stilizzata zero settanta. Ci è rimasta come gadget-ricordo, che custodisco gelosamente e che farò incorniciare al più presto!
Iniziavamo a vestirci intorno alle 20, dopo la cena, o per meglio dire, una sorta di happy hour, in cui eravamo comunque molto concentrati. La giornata si svolgeva in questo modo: alle 16 la convocazione sul palco, scansione del tesserino al tornello di entrata. Ragazzi, tutto era preordinato in maniera scientifica, te lo dico in romanesco, “proprio nun se poteva imbuca’ nessuno”! E non erano ammessi i giornalisti. Quindi, prove ad oltranza fino alle 19 e l’happy hour di cui ti ho detto.
Devo dire che Renato ci ha trattato benissimo dal punto di vista della qualità dei cibi. Ci tengo a dirlo, abbiamo sempre mangiato molto, molto bene. Alle otto indossavamo la maglietta da 070, accordavamo ancora una volta lo strumento nel backstage in modo da salire sul palco pronti per suonare. Prendevamo il body pack, le nostre cuffie con l’interfono e aspettavamo che ci chiamassero.
Cosa si prova in quei momenti?
Si percepisce che c’è un altro sold out e che c’è un tifo da stadio. Tra di noi era un gridarci “merda”, un florilegio di scongiuri come merda! Merda, si sentiva dal camerino dei ballerini. Uno, due, tre e merda! Grida fortissime. Sentivamo l’applauso a Kristian Cellini, il coreografo del corpo di ballo e ad Antonio Desiderio, il manager. Strepitosi, bravissimi. Quanto a noi contrabbassisti, avevamo un nostro personale grido di battaglia. Mutuandolo dalla saga di Tolkien, mentre salivamo sul palco gridavamo “per Gondor!!”
Quale è stata per te la serata più emozionante?
L’ultima. Ci rendevamo conto che avevamo svolto un grande lavoro. Pensavamo che sarebbe finita nel volgere di qualche ora. “Finiva Renato”, era il momento della nostalgia.
Riuscivate ogni tanto a dare un’occhiata al pubblico?
Ogni sera assistevamo ad un grande successo. Stava andando benissimo anche la sera del compleanno di Renato, il 30 settembre. Il cielo era plumbeo sopra un Circo Massimo pieno come un uovo. L’intervallo, che doveva durare il solito quarto d’ora, si protrasse. Dovevamo stare fermi, immobili sulle spalle, perché nel backstage era un via-vai di tecnici che correvano dappertutto, eravamo al coperto ma sapevamo che stava diluviando. Avevamo indossato le magliette termiche. I tecnici correvano come furetti cercando di salvare il salvabile. Era una corsa contro il tempo che però non ha trovato compimento. Non c’era niente da fare.
Renato avrebbe voluto continuare. Ad un tratto è intervenuto il Responsabile della Sicurezza, che ha comunicato direttamente all’artista, a Renato Zero, che da quel momento declinavano ogni responsabilità in caso di incidenti. La situazione era insostenibile ed era diventata pericolosa. La pioggia era scrosciante, le parti elettriche erano piene di condensa.
Chi vi ha comunicato che il concerto si sarebbe dovuto interrompere?
È stato il Direttore di Palcoscenico a dircelo, a noi avevano tolto le cuffie per ragioni di sicurezza. Osservavamo Renato salutare i fans, era commosso, contrariato e abbastanza sconvolto. Molte persone non volevano andarsene, restando in piedi di fronte al palco.
Cosa avresti fatto se fossi stato al posto loro?
Penso che non me ne sarei andato nemmeno io.
Cosa avete fatto dopo?
Siamo rimasti lì, era un pantano. I nostri strumenti, delicati e costosi, andavano asciugati e protetti. A mezzanotte passata sono riuscito a ritornare alla macchina, e sono stato tra quelli fortunati! C’è chi ha fatto le 4, i tecnici sono rimasti lì, usando i phon dei camerini per asciugare le tastiere, i fili elettrici, i gruppi luce. Tutto era impregnato di umidità. Si rischiava la folgorazione.
Arriviamo all’ultimo giorno
Alle dieci del mattino, con un messaggino nel gruppo WhatsApp, è arrivata la comunicazione ufficiale dell’orchestra. Dovevamo andare lì con un’ora di anticipo per valutare eventuali problemi legati alla pioggia del giorno prima. Inoltre, Renato intendeva comunque onorare tutto il repertorio e dunque avremmo suonato un’ora in più. Il concerto è stato un trionfo, anche per noi. Nel backstage ci sono stati baci, abbracci, sono nate belle amicizie! Con Jury Magliolo, un elemento del coro, emerso nella seconda edizione di X Factor, dalla squadra di Simona Ventura, un ragazzo simpaticissimo e molto bravo. E anche Riccardo Rinaudo, un altro corista.
Ti ricordi il primo disco di Renato Zero che hai comprato?
No, mamma, no. Invece, la prima canzone che ho ascoltato è stata Un uomo da bruciare. Accadde in un momento particolare: avevo un braccio rotto, ero ingessato e stavo all’ospedale. C’era la filodiffusione e passò questa canzone. Uscito dall’ospedale sono andato a comprarmi il disco. È cominciata così.
Cosa ricordi dell’ultima serata romana?
Come dicevo, è stata una serata interminabile, la più lunga delle sei in programma. Al temine de il Cielo, (il brano con il quale dal 1977 Renato Zero conclude tutti i concerti, N.d.A.), dopo i saluti di commiato dal pubblico, durati oltre dieci minuti, l’abbiamo visto dileguarsi dento un’automobile, com’era giusto che fosse. Renato ci aveva salutato la sera prima, il 30 settembre, invitandoci a tagliare una torta di compleanno durante la cena pre-concerto. Una “sessione del genetliaco” – diciamo così – dedicata a noi orchestrali 070. E ti dico un’altra cosa! Siccome era avanzata un po’ di torta, ce la siamo mangiata il giorno dopo!
Più di un fan, al termine del concerto, ha avuto l’impressione che fosse un Addio; un volersi congedare dal pubblico, almeno per quanto riguarda i concerti dal vivo
Renato ama apparire nostalgico, figuriamoci quando esegue l’intero repertorio! Ma lo sai che c’è? Mi risulta che in primavera dovrebbe fare una nuova tournée. E forse, dopo la primavera, dovrebbe uscire anche un disco.
Penso che sia stato proprio l’artista a dare l’impressione del passo di Addio, alludendo agli artisti, ai giovani, che eseguiranno le sue canzoni dopo di lui
È esattamente quello che gli ha detto Paola Minaccioni, una delle super ospiti intervenute: “Occhio Rena’, non sei più un ragazzino”. Penso che Renato Zero sia consapevole che non potrà eseguire alcuni brani con la stessa fisicità con cui li interpretava… nel secolo scorso. Renato appare una persona che vive a cuor leggero ma in realtà è uno con i piedi per terra, non rischierà di diventare una maschera grottesca. Mi auguro di festeggiare gli ottant’anni di Renato Zero e di far parte degli 080 o come si chiameranno. E poi, non poniamo limiti alla provvidenza. Guarda, potrei utilizzare la frase usata dal padre all’epoca in cui stava iniziando a diventare famoso. A quando aveva fatto solo tre dischi ed era appena uscito Zerofobia:
Doriano Roccon saluta tutti i Sorcini e i lettori di Onda Musicale
Il nostro incontro si conclude qui. L’abbiamo intervistato tra le navate della chiesa, venendo interrotti di tanto in tanto da Violetta Valéry, o meglio, dai vocalizzi di riscaldamento di Aleksandra Buczek, la talentuosa soprano che ogni martedì sera le presta la voce, dando vita alla Traviata verdiana. È un mondo magico, quello dei musicisti. Dietro ogni accordo ci sono duri anni di studio, dobbiamo ringraziarli perché “fanno la musica”, donandoci quei suoni che ci innamorano e che ci accompagnano tutta la vita.