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25/02/1943 – 25/02/2023: Ottanta Volte George Harrison. Il racconto di Michelangelo Iossa

George Harrison

“Beh, io le ho scritte, queste canzoni, ma in realtà non mi appartengono”
(George Harrison)

George Harrison oggi avrebbe compiuto 80 anni. Per l’occasione, ho avuto il piacere di intervistare nuovamente Michelangelo Iossa, tra i più autorevoli studiosi dei Beatles e di George Harrison d’Italia, nonché autore del libro “Le canzoni di George Harrison. Commento e traduzione dei testi” (Editori Riuniti, 2006). Nell’agosto del 2021 abbiamo parlato di “All Things Must Pass” – qui l’intervista – ovvero, il terzo album solista di Harrison (il primo dopo lo scioglimento dei Beatles), pubblicato il 27 novembre 1970.

L’intervista

Oggi, 25 febbraio 2023, si celebrano, in ogni angolo del mondo, gli ottanta anni di George Harrison. Alcuni anni fa hai firmato “Le Canzoni di George Harrison”, unico libro europeo ad analizzare – brano per brano – l’intera carriera del musicista di Liverpool: qual è il suo ruolo nella storia della musica popolare del Novecento?

«Il Beatle tranquillo, il ‘terzo uomo’, il mediano dei Beatles, il guitar hero del Merseyside, il baby-Beatle, l’outsider dei Fab Four, il pioniere della world music, lo slide-guitarist di Liverpool, il mistico del rock’n’roll, l’allievo di Ravi Shankar, il dark horse del pop-rock, l’inventore dei concerti di beneficenza, la rockstar con il sitar: sono decine le definizioni che la stampa internazionale ha dedicato, nel corso degli anni, a George Harrison, uno dei musicisti più amati e uno dei songwriter più rispettati della storia del rock.

L’adolescenza trascorsa a Liverpool, l’amore per le chitarre e la giovinezza vissuta calcando i palchi di mezzo mondo a bordo di quella macchina perfetta rappresentata dai “quattro ragazzi che sconvolsero il mondo” hanno caratterizzato le primissime fasi della carriera musicale di Harrison.

“Abbiamo ricevuto l’affetto dei fan durante la Beatlemania, ma in cambio abbiamo dovuto dare il nostro sistema nervoso!”. George Harrison, che dei Fab Four era il più giovane, avrebbe poi ricordato l’entusiasmante follia beatlesiana con un misto di dissacrante ironia e implacabile franchezza: “eravamo condannati perché non avevamo nessuno spazio privato. Come le scimmie allo zoo”. Questi aspetti, che hanno contraddistinto il rapporto di Harrison con la band che lo rese celebre, lasciavano spazio anche ad un’indubbia sua capacità di anticipare le possibili evoluzioni del mito-Beatles: “i Fab Four sono come quelle camicie che indossi quando sei molto giovane. A cinquanta anni non vuoi indossarle più. Eppure il pubblico desidera sempre che indossi quelle camicie!”.

Nell’arco degli anni condivisi con gli altri Beatles, George Harrison divenne il terzo songwriter del quartetto di Liverpool: una modesta prolificità, frenata forse dal prorompente talento di Lennon/McCartney, si accompagnava ad un rigore discreto e costante che ha consentito a Harrison di mettere a segno alcuni successi discografici di straordinaria profondità espressiva e musicale, mai disattesa, nemmeno durante la sua trentennale carriera solista. Sfidando le consuetudini, George Harrison intraprese con Don’t Bother Me la sua personale produzione discografica ed assunse progressivamente il ruolo di terzo songwriter effettivo del quartetto sfoderando brani di altissimo spessore letterario e compositivo. Soprattutto nel periodo 1966/1969, il giovane Beatle dimostrò di avere le carte in regola per affiancare il duo Lennon/McCartney nella costruzione del songbook beatlesiano: “la canzone Something? Un ottimo fondo-pensione!” avrebbe detto del suo brano più celebre.»

George Harrison negli anni Settanta.

Il “Concert for George” ha compiuto recentemente vent’anni e tu eri lì presente. Che emozioni ci racconti?

«All’indomani della scomparsa di Harrison, nel 2001, migliaia furono – in tutto il mondo – le manifestazioni di cordoglio collettivo: da Strawberry Fields (Liverpool) a Abbey Road (Londra), da Friar Park (residenza degli Harrison sulle rive del Tamigi) al Central Park (il memorial di John Lennon) sino al palazzo reale di Buckingham Palace, dove le Coldsteam Guards eseguirono un medley di canzoni dei Beatles durante la tradizionale cerimonia del cambio della guardia.

Il 29 novembre 2002, ad un anno esatto dalla scomparsa dell’ex-Beatle, Eric Clapton chiamò a raccolta i migliori amici di George Harrison, coinvolgendoli in uno dei più straordinari e autentici memorial concert di tutti i tempi: Paul McCartney, Ringo Starr, Ravi e Anouschka Shankar, Michael Kamen, Gary Brooker, Billy Preston, Klaus Voormann, Jools Holland, Jeff Lynne, Tom Petty, Alvin Lee, Jim Keltner, Ray Cooper, Stevie Winwood, Jim Capaldi e tantissimi altri suonarono i brani di Harrison sul palco della Royal Albert Hall di Londra rendendo omaggio al canzoniere di uno dei più grandi songwriter degli ultimi quarant’anni.

“George is here tonight” (George stasera è qui), disse Ravi Shankar prima di introdurre l’orchestra costituita da musicisti indiani, dal coro Bharatiya Vidya Bhavan e da musicisti diretti da Kamen. Dalla Inner Light di Jeff Lynne alla Old Brown Shoe di Gary Brooker, da Beware of Darkness di Clapton a Here Comes The Sun di Joe Brown, sino alle emozionanti Photograph di Ringo Starr e For You Blue di McCartney: nessun divismo alla Royal Albert Hall; tutti i musicisti omaggiarono George con autentica passione, con sincero amore…

Ho avuto la fortuna di assistere a quel concerto maestoso e ricordo distintamente il suono torrido, fragoroso e l’insuperabile forza espressiva dei musicisti coinvolti che avvolgevano la platea in un abbraccio prezioso: è il concerto più emozionante e importante a cui ho personalmente assistito. Vedere e ascoltare Paul McCartney, Ringo Starr, Eric Clapton e Billy Preston suonare insieme “While my Guitar gently weeps” o “Something” è stato per me un dono e anche un piccolo grande salto nel tempo. Nessun divismo: ognuna delle rockstar presenti era lì per George, non per il suo ego o la sua vanitas.»

Hai qualche aneddoto che ti è rimasto impresso?

«La platea, innanzitutto: sul palco si esibiva il gotha del rock mondiale e, tra il pubblico, spiccavano i volti di Sting, Annie Lennox, George Martin e il figlio Giles, Elvis Costello e decine di altre rockstar planetarie. Il pubblico non sapeva se guardare sul palco o in platea. Il momento decisamente più divertente fu rappresentato dalla “Lumberjack Song” dei Monty Python: nella folla dei performer, tra i leggendari Eric Idle, John Cleese, Michael Palin e Terry Gilliam figurava anche un sorprendente Tom Hanks!

La mia amica Chiara Amato, purtroppo scomparsa prematuramente, aveva preparato per quel concerto un lungo striscione in tessuto con su scritto “My Sweet George”: quando Sir Paul McCartney cantava “Something” ci scrutava con affetto ed emozione e quel nostro striscione è andato a finire nelle immagini ufficiali del Concert For George, proprio mentre Sir Paul suona “Something” all’ukulele…»

Paul McCartney, Eric Clapton – Something (Live).

George Harrison ci ha lasciato nel novembre del 2001. Che eredità ha lasciato al mondo musicale del nuovo millennio?

«È grazie a George Harrison che il mondo del pop assistette al ‘dialogo musicale’ tra l’Asian Music Circle e la London Symphony Orchestra, all’utilizzo di testi tratti dal Tao Te-Ching, all’introduzione di strumenti della tradizione musicale indiana, alle prime avventure discografiche di musica elettronica con gli album sperimentali Wonderwall Music e Electronic Sound, al superamento dei confini imposti dalla forma-canzone contemporanea.

Rispettato dai colleghi e amatissimo dal grande pubblico, all’indomani dello scioglimento dei Beatles, George Harrison riuscì a costruire un personalissimo percorso musicale che lo portò a realizzare un sorprendente album-monstre – All Things Must Pass – e a organizzare il primo vero concerto benefico della storia del rock – The Concert For Bangla Desh – inducendo il pubblico e la critica a domandarsi: “era forse lui il vero motore dei Beatles?”.

Una duplice attività di produttore musicale e cinematografico, un indiscutibile ruolo nell’empireo dei guitar heroes d’ogni epoca, una singolare passione per le corse automobilistiche e per gli abiti comodi e colorati, l’amore per il figlio Dhani e la moglie Olivia, la divertente posizione di band-leader dei Traveling Wilburys e di musicista solista hanno garantito a Harrison un posto di prima grandezza nella storia del rock ed un palmares davvero straordinario, tra Grammy, Grammy Hall Of Fame, due differenti investiture nella Rock’n’Roll Hall Of Fame di Cleveland (nel 1988 con i Beatles e nel 2004 come musicista solista) e l’intitolazione di un asteroide, il “4149 Harrison”!»


Quanto è importante approfondire la sua figura artistica/personale?

«La parabola umana e artistica di Harrison è di grandissimo interesse. Nonostante i suoi successi, quando gli venne chiesto come gli sarebbe piaciuto essere ricordato dopo la sua morte, il musicista rispose “…semplicemente come un bravo giardiniere”.

Laddove il binomio Lennon/McCartneyha svelato il linguaggio, i sentimenti e i pensieri più profondi dell’ordinary man, con Harrison si assiste ad un personale viaggio nello ‘stupore umano’, nella capacità di meravigliarsi dinanzi all’Amore, a Dio, alla Vita, alla Morte, alla Natura. La moglie di George, Olivia, ha così evocato il mondo letterario del marito: “I testi di George spesso ci catturano con una singola immagine, e poi ci trasportano in un regno superiore, trascendendo l’ispirazione iniziale”.

L’elemento che immediatamente riporta alla memoria Harrison è la limpida espressività delle sue composizioni e delle sue liriche, quella candida delicatezza che è propria di un cesellatore di ‘gioielli’ musicali. Narrare il mondo e i suoi colori intensi, dare voce all’insopprimibile ricerca della spiritualità sono forse i due elementi-chiave della produzione testuale di George Harrison, un “bravo giardiniere” al servizio della musica…»

Le canzoni di George Harrison (Editori Riuniti, 2006).



Michelangelo Iossa

Giornalista e scrittore, Michelangelo Iossa collabora da trent’anni con alcune delle più importanti testate italiane. Contributor del Corriere del Mezzogiorno – Corriere della Sera e di altri periodici del gruppo RCS, ha firmato reportage, special radiofonici e televisivi.
Dal marzo del 2022 ricopre l’incarico di Delegato alla Cultura per la Delegazione di Napoli del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano.
Dal 1999 è docente presso l’Università degli Studi ‘Suor Orsola Benincasa’ di Napoli, cura due insegnamenti legati al mondo della comunicazione e il Laboratorio di Musicologia.

Dal 2003 ad oggi, Iossa ha firmato libri su icone della musica italiana e internazionale, da Pino Daniele a Michael Jackson, passando per John Lennon e Rino Gaetano. Michelangelo Iossa è tra i più autorevoli biografi italiani dei Beatles, a cui ha dedicato sette differenti libri pubblicati tra il 2003 e il 2022: nel 2006 ha pubblicato “Le Canzoni di George Harrison” (Editori Riuniti), unico testo europeo che analizza i testi di tutti i brani del musicista di Liverpool.

Nel 2004, Michelangelo Iossa ha ricevuto il Premio per l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

— Onda Musicale

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