Daisy Jones and the Six è una miniserie creata da Scott Neustadter e Michael H. Weber, basata sull’omonimo romanzo di Taylor Jenkins Reid. In onda dal 3 marzo e appena conclusa su Prime Video, conta tra i produttori esecutivi personaggi della portata dell’attrice americana Reese Witherspoon.
È stata in produzione per due anni e racconta la storia di una rock band degli anni ’70. Ispirata dalle vicende personali che hanno interessato i celeberrimi Fleetwood Mac, esplora la storia travagliata dei membri della band, dalla loro ascesa a Los Angeles al successo mondiale, fino alla triste separazione dopo un unico album fortunato.
Il cast
La serie vede protagonisti Riley Keough (figlia di Lisa Marie Presley) nei panni della tormentata Daisy Jones, Camila Morrone in quelli di Camila, moglie del frontman Billy Dunne, interpretato da Sam Claflin. Gli altri membri della band sono: Karen Sirko alle tastiere (Suki Waterhouse), Graham Dunne alla chitarra solista (Will Harrison), Eddie Roundtree al basso (Josh Whitehouse) e Warren Rojas alla batteria (Sebastian Chacon). Per tre mesi gli attori hanno partecipato a un band camp in cui prendevano lezioni di strumento per poi improvvisare delle jam. Lo scopo era quello di unirli e renderli una vera band, ed è stato un esperimento più che riuscito: le loro esibizioni nella serie sono tanto realistiche quanto spettacolari. Si vocifera anche che potrebbero andare in tour.
La serie
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La colonna sonora che si muove tra anni ’60 e ’70 è azzeccatissima (Patti Smith, Roxy Music, Lou Reed, Carole King, Jefferson Airplane, Edith Piaf, Mina). I costumi e la fotografia sono perfetti. È una ricostruzione così fedele da rendere nostalgico anche chi è nato qualche anno dopo. Ogni frame fa desiderare di rinascere negli anni ’70, sperimentare qualche aspetto di quell’epoca (esclusi alcol e droghe) senza tecnologia invasiva, senza troppe distrazioni o infiniti stimoli privi di finalità. Solo buona musica a ogni angolo del Pianeta.
Tu non sei qui per la fama, la droga o i soldi. Tu sei qui per la musica.”
È una frase rivolta alla protagonista, Daisy Jones, ispirata a Stevie Nicks. Lei non vuole essere una musa, lei vuole essere qualcuno, quel qualcuno che calca i grandi palchi e con la propria musica incanta il pubblico. Daisy è così, ambiziosa, arrogante, sicura di sé, odiosa all’occorrenza. Ma alla fine realizza il suo sogno.
I Six hanno inciso appena un album prima di incontrarla, e la loro carriera ha rischiato di arrestarsi brutalmente quando il frontman, Billy Dunne, è finito in riabilitazione. Ma poi è arrivata Daisy ed è stato chiaro fin da subito che la sua determinazione e il suo talento sarebbero stati determinanti per il futuro della band. Così l’hanno accolta tra loro e il terreno ha tremato. Soprattutto per Billy, che ha dovuto lottare contro i suoi sentimenti per Daisy per amore della moglie.
Somiglianze tra Six e Fleetwood Mac
Come già ho anticipato, la Reid si è ispirata alla storia dei Fleetwood Mac per creare la sua band. Daisy e Billy, come Nicks e Buckingham, si infilano in un rapporto travagliato che si ripercuote su tutta la band. Sono due leader, due personalità esplosive che cozzano tra loro. Si assiste a urla e litigi, intervallati da brevi momenti di quiete e cameratismo. Si amano e si odiano, continuamente, senza tregua.
Cercano anche loro di affrontare le dipendenze da alcol, fumo e cocaina, spesso portate all’estremo. Le tensioni, d’altronde, anche nel caso di Billy e Daisy finiscono per essere di cruciale importanza nella composizione dell’album che li porterà al successo mondiale. Come Rumors (1977), anche Aurora scala le classifiche e vince premi, ma è destinato a restare l’unico gioiello della band, che si scioglie subito dopo il primo e unico tour.
Non solo Daisy e Billy sono però colpevoli della disfatta, nella band si respira un’atmosfera tetra anche per gli altri componenti. La relazione tra Karen e Graham finisce di colpo in modo disastroso come quella di Christine e John McVie, che si separano dopo otto anni di matrimonio; Graham decide allora di lasciare la band. Daisy se n’è già andata, e Billy ha preferito una vita ritirata con la sua famiglia (dopo vari tradimenti e due riabilitazioni).
I Six finiscono così, lasciando comunque una traccia del loro passaggio nella Hall of Fame della musica rock.
Aurora, l’album originale della band Daisy Jones and the Six
L’album creato per la serie è l’argomento che più ci interessa, e posso affermare che non è stato affatto deludente. I testi sono diversi da quelli del romanzo, scelta dovuta alla necessità di ripartire da zero affidandosi ad autori e artisti dell’ambiente musicale. Alla composizione hanno infatti partecipato Blake Mills, Phoebe Bridgers, Jackson Browne e Marcus Mumford.
Il risultato è Aurora, un album che fa parecchio il verso a Rumors sia per temi che per sound. In ogni caso non si tratta di una copia, ogni canzone è ragionata e perfettamente in linea con gli eventi della serie. Eppure l’idea di creare qualcosa di magico dal dramma e dalla disperazione è la stessa, e funziona.
Le emozioni che provano i leader – e non solo loro – sono rese vivide ed evocative dalla recitazione perfetta, ma soprattutto dalle canzoni ben scritte. La prima a essere diffusa mesi fa è stata Regret Me, brano centrale della serie e fondato sulla relazione di amore/odio tra i protagonisti. Il sound classico, con riff e stacchi ben piazzati, conferisce il ritmo giusto a un botta e risposta che ricorda molto quello di Go Your Own Way. «You regret me and I regret you, except I don’t care what you’re feeling and I totally already do» cantato da entrambi mentre si scambiano sguardi innervositi è doloroso quanto realistico. È ispirato infatti all’esibizione di Silver Springs dei Fleetwood Mac del 1997.
La più famosa, però, è naturalmente Look At Us Now, ballata più pop che rock sulla falsa riga di Landslide, sebbene non altrettanto magnifica. È comunque una canzone che fa il suo lavoro, abbastanza radiofonica da diffondersi facilmente e non troppo banale da accontentare i più esigenti. Gli assoli di chitarra e tastiere sono deliziosi, il testo è drammatico e ripetitivo quanto basta per una ballata. I leader si chiedono come sono arrivati a questo punto e come potranno uscirne.
How did we get here? / How do we get out? / We used to be something to see / Oh, baby, look at us now / This thing we’ve been doing ain’t working out / Why can’t you just admit it to me?”
Aurora è dedicata a Camila. Billy la scrive per la moglie, per ringraziarla di non aver smesso di credere in lui nonostante tutti i suoi errori. È una canzone d’amore ma non lo sembra, i botta e risposta la rendono stimolante, il riff di chitarra e la batteria incalzante incitano a saltare come a un concerto dei Led Zeppelin.
Let Me Down Easy è una hit. Riff semplice, ballabile, testo ripetuto. Parla di conoscere qualcuno meglio di se stessi, meglio del suo partner, meglio di chiunque. È un’altra canzone che costringe i protagonisti a cantare fissandosi negli occhi, scambiandosi la consapevolezza che quel linguaggio in codice, in fondo, non è poi così codificato. Tutto il mondo li sta guardando e ha capito la verità.
More Fun To Miss è un brano che Billy scrive dopo un litigio e costringe Daisy a cantare. Vuole spingerla ad accettare i suoi casini ma soprattutto sfidarla a essere convincente dicendo «More fun to miss than to be with», più divertente perderla che starci insieme. Daisy accetta la sfida. Canta con voce graffiante e impertinente, un suono che ricorda una più delicata PJ Harvey (anche il riff di chitarra in effetti ci riporta alla sua This Is Love). Ottima performance per Riley Keough, sembra proprio che la nipote di Elvis Presley abbia ereditato il talento.
Con Please è chiaro cosa cerca di fare Billy: scrollarsi di dosso il desiderio di Daisy, ricordando a se stesso di avere una famiglia, l’unica ragione per cui è ancora vivo e ha superato la sua dipendenza. «Please, I’m down on my knees, I have a family / Please, it’s an awful disease and it’s getting me / Merged with a terrible urge every night». Le vocali trascinate, gli accordi suonati al piano con una certa violenza, la voce che inizia piano e procede con picchi elevati… Tutto trasmette la sensazione di una preghiera disperata. Bravo anche Sam Claflin.
Two Against Three, You Were Gone e No Words sono ballate delicate, dal sound simile alle canzoni più dolci di Rumors e altrettanto convincenti, a parer mio le più emozionanti dell’album. Ma mi sento di affermare che la migliore sia The River.
Finora nessun atletismo vocale, Daisy e Billy sono sempre rimasti in una comfort zone che riusciva comunque a mettere in risalto i loro talenti. Con The River invece viene sperimentata anche questa componente, è richiesto a entrambi un salto di qualità che credo abbiano affrontato in modo eccellente. Ciò è stato necessario soprattutto per interpretare la drammaticità del testo e della musica, in cui si fa sempre più chiara la direzione che si sta prendendo, o meglio, che Billy prenderà.
Daisy fin qui è sempre rimasta bloccata in un punto nel mezzo, tra la confusione di Billy e i suoi sentimenti per lui, ma ora la decisione è presa. Daisy con un urlo straziato comprende di averlo perso, che le sue promesse erano false ed è rimasto soltanto un riflesso nel lago, un’ombra. Ad accompagnare la sua voce c’è una sezione ritmica in forma, aggressiva, brutale.
È il brano più doloroso e per questo arriva subito, complici anche i versi ripetuti fino allo sfinimento
And your shadow / In the river, your reflection / Is a promise you couldn’t keep / I know, I know, I know, I know, I know / I lost you here / If I follow you to the river / In the river, your reflection / Is a promise you couldn’t keep / I know, I know, I know, I know, I know / I love you now.”
Conclusioni
Quella che ho cercato di descrivere è la riproduzione nostalgica di un’epoca esaltante per chi l’ha vissuta e mitologica per chi non era presente. È chiaro fin da subito che la serie – come il libro – non ha la pretesa di mandare messaggi moralistici o dire la sua sull’ambiente musicale. È soltanto la storia di una band degli anni ’70, certo un po’ ripulita dal caos che realmente si respirava allora, ma resta pura fiction. E credo possa funzionare per tutti, grandi e piccoli, adulti nostalgici e giovani che vogliono un assaggio di ciò che i genitori hanno sempre raccontato loro.